Toto-Oscar MARTIN SCORSESE: TORO SCATENATO

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Regia Martin Scorsese

Soggetto Jake La Motta, Joseph Carter e Peter Savage

Sceneggiatura Paul Schrader e Mardik Martin

Fotografia Michael Chapman

Scenografia Gene Rudolf

Montaggio Thelma Schoonmaker

Produzione United Artist (USA, 1980)

Costumi John Boxer e Richard Bruno

Musiche Jim Henrikson

Con Robert de Niro, Joe Pesci, Cathy Moriarty, Frank Vincent, Nicholas Colasanto, Theresa Saldana, Mario Gallo, Frank Adonis, Joseph Bono, Frank Topham, Lori Anne Flax

Durata 129’

E’un bianco e nero iconografico, quello che ci accompagna tra le corde di un ring nel film Toro Scatenato di Martin Scorsese, ispirato alle foto e agli scatti d’epoca dei match del grande Jake La Motta. Un amaro testamento di una vita passata nell’illusione e nella ricerca di un qualcosa che non esiste, ma che si porta via tutto comunque. Nel capolavoro del grande regista italo-americano, la boxe è ben lontana dai cliché della nobile arte e rappresenta piuttosto uno stile di vita o una maledizione esistenziale. Vite brutali, animate da bisogni e istinti primari altrettanto infimi, camuffati da onore, fede, libertà e successi.

16 giugno, 1949; Jake La Motta vince la cintura per il titolo di campione mondiale dei pesi medi. Ha una splendida moglie, Vicky, due bambini, Jake Jr. e Joseph, un buon fratello e una carriera di successo, sia alle spalle che davanti. Le cose vanno precipitando, Jake riesce a distruggere tutto ciò che lo circonda, bruciando di invidia e gelosia, perdendo tutto ciò per cui ha combattuto.

La regia di Scorsese è sottile, piena di attenzioni e cure per l’interpretazione di attori del calibro di Robert De Niro e Joe Pesci. La fotografia riprende il bianco e nero dalle foto degli incontri del famoso pugile e si discosta così anche esteticamente dall’altrettanto fortunato Rocky scritto da Sylvester Stallone. All’epoca, il regista usciva dal tunnel della droga e considerava Raging Bull il suo ultimo film. L’intensità della pellicola rispecchiava lo stato d’animo del grande autore che rivedeva nelle sventure di Jake La Motta la tragicità della propria condizione. Resta indimenticabile l’ecletticità di De Niro (allenato dallo stesso La Motta) aumentato di trenta chili per impersonare un pugile appesantito da alcool e droghe e considerata dall’attore stesso la più importante delle sue interpretazioni. Nonostante ciò, Toro Scatenato divise la critica che ne considerava la violenza verbale e  fisica poco adatta al grande schermo. Gli scontri, visti attraverso la soggettiva dei pugili, catapultavano il pubblico dentro la violenza sanguinolenta del ring e mostravano ciò che i combattenti vivevano nel quadrato.

 A volte capita che non si possa sfuggire a sé stessi, come si affronta e si sconfigge un avversario in un incontro. Jake non lo sa, ma è tutta la vita che combatte contro di sé in un match che non potrà mai vincere. Lo scontro e la lotta per la supremazia, sono talmente insite nell’anima del pugile, da fargli affrontare ogni ostacolo e sfida nella vita con lo stesso metodo: la violenza. La sofferenza causata nelle persone che lo circondano non è perpetrata da un carnefice malvagio e senziente, ma da una vittima dei propri limiti e dei propri istinti. La mente di Jake è talmente soffocata da paranoie e rancori da capire a malapena che in lui c’è qualcosa che non va. La rabbia, che si sfoga sulle pareti di una buia cella, è anche il grido di dolore dell’uomo finito che urla “Io non sono cattivo, che scemo sono stato!”. A più non riesce a giungere.

Grandi protagoniste della pellicola sono le donne e la loro condizione: trofei, capricci, oggetti di cui disporre a piacimento e da difendere come un titolo, non tanto perché amate, quanto perché appartenenti. Sono loro le vere eroine, più coraggiose e forti dei loro compagni, subiscono e vengono umiliate dal così detto sesso forte. C’è più eroismo nella scelta di divorzio di Viky per salvare i figli dalle influenze paterne che in tutta la carriera fatta di menzogne e ambizioni maschiliste di La Motta. Alla fine, ciò che resta del grande pugile è un ometto grasso che parla delle sue vittorie passate al proprio riflesso allo specchio, l’unico cui interessa ascoltare. Agitandosi come un tarantolato, credendo ancora di poter dare pugni che non sembrino ridicoli, scompare sul palco, ridotto ad un mediocre attore comico, lasciandoci soli con lo specchio, la nostra più grande nemesi.

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