Analizzare il resoconto, il conto reso da Francis Ponge alla lingua, attraverso i profondi silenzi e le più intime contraddizioni che essa è in grado di rivelare e nascondere al fuori e sull’altro: questo è l’invito di Gérard Farasse al filosofo Jacques Derrida, nel tentativo di poter sfiorare insieme l’inestricabile intreccio di forze e relazioni che si realizzano nel lavoro del poeta francese.
Derrida discute le modalità per mettersi in ascolto del testo utilizzando uno strumento per lui pericoloso: l’intervista. Restio a concepire il dialogo come pratica di fondazione del senso, Derrida accetta ugualmente di consegnarsi al gioco, con tutti i rischi che esso comporta, e decide abilmente di sfruttare il crollo delle difese che la scrittura, invece, contribuirebbe a consolidare: fare come Ponge-altrimenti, custodire le sue parole e trasportarle altrove. In questo modo la conversazione diventa una strategia per far parlare l’oggetto letterario, il testo, la parola, nel suo farsi chiave che apre e chiude la possibilità a confidare o negare tutti i segreti.
Ponge non descrive gli oggetti, li fa parlare attraverso la sua voce, la sua scrittura, che viene prestata alla lingua per dare agli oggetti stessi una forma. Per Derrida, il poeta firma e data il testo, non sotto le convenzionali vesti di soggetto, bensì come veicolo tramite il quale l’oggetto assume un nome nella lingua. Questo il motivo per cui la fabbrica delle Cose, il testo stesso, viene mostrato da Ponge nel processo della sua costruzione, con le sue imperfezioni e contraddizioni, come luogo e tempo dell’incontro-scontro tra possibili combinazioni di parole.
Secondo Derrida è solo mostrando il procedimento di creazione che il testo può separarsi dall’autore, diventare oggetto che non ha bisogno di nient’altro se non di se stesso e della letteratura. Solo così il testo può diventare impronta eterna.
La sfida a cui è sottoposto il lettore è impegnativa, perché chiamato costantemente a mettersi in gioco e a scardinare le certezze su cui si è costruita l’eredità del pensiero occidentale. Si tratta di mettere tra parentesi il tempo e lo spazio, svuotarli del loro canonico significato, riconoscere che solo l’altro ci può attribuire un nome. L’obiettivo è scontare il debito, tenere fede, leggendo, alla stessa responsabilità attraverso cui si schiude la lingua nei testi di Ponge e nell’operazione di Derrida.
In Spiegare Ponge la scrittura diventa il luogo in cui si svolge il gioco e si sconta il debito, in essa si riuniscono e dissipano forze esplosive impossibili da indagare fino in fondo; accedendovi si può diventare custodi diversamente e singolarmente come Ponge, che si implica, cambia le cose, trasforma la memoria che vuole mantenere intatta.
Progressivamente, si amplia la schiera dei partecipanti che il gioco usa per costruirsi, la strategia di Derrida diventa motore della conversazione, i rinvii ad “altri” oggetti proliferano e non riescono ad essere mai ricondotti ad un ordine definitivo. Del poeta, del filosofo e del dialogo stesso non rimane che l’impronta: il lettore ha il compito di firmarla, farsi attraversare dalla nuova storia del testo, tenere fede al fatto che ci sono delle parole poiché ci sono delle promesse, degli impegni, e in primo luogo degli impegni a parlare.
SPIEGARE PONGE. COLLOQUIO CON GERARD FARASSE
Jacques Derrida
a cura di Giorgia Bordoni
Mimesis, 2011, Milano – Udine,