Il fascino non si crea dal nulla. Il fascino non si ferma nemmeno davanti al glamour.
L’incanto retrò in bianco e nero viene portato in scena. La toletta dove spazzolare i lunghi capelli rossi o bere whisky, il separé ricco di colori e tessuti sfavillanti, il telefono con il filo arricciato, di quelli dove squillano voci felpate, e un pianista che ci accompagna dall’entrata in sala provocano un pizzico di nostalgia noir anni ’40, quel che basta a farci chiudere gli occhi e catapultarci indietro nel tempo, in quella famosa sera del 1946.
Tutto ebbe inizio in un piccolo paese dove lo schermo del cinema di Mario di solito proiettava pellicole per il puro piacere dei giovanotti locali, in cerca di belle forestiere.
Questa volta era diverso. Era stata addirittura scomodata la voce di Francesco Pannofino per annunciarla. Questa volta il cinema di Mario non portava in scena il solito spettacolo, ma dava forma alla futura icona della femme fatale, Gilda.
Eccola lì, la bomba atomica del ‘46: una prorompente rossa, fasciata dal famoso tubino nero di Jean Louis, con coda e spacco, calca le scene riproponendo un Put the blame on Mame, con tanto di guanto sfilato e “ascelle depilatissime”, così magnetico che non può non affascinare ed essere imitato in futuro.
A partire da questo momento, il pubblico comincia a vivere un intenso tête-à-tête con Grazia Schiavo, che interpreterà tante donne durante lo spettacolo. Lei stessa confessa di non essere all’altezza di imitare un’icona della moda e del cinema come Rita Hayworth ed è proprio questo il nodo centrale dell’intenso monologo.
Rita Hayworth, prima di tutto, non era all’altezza di se stessa, o meglio della sua immagine, essendosi sottoposta ad innumerevoli e dolorosi interventi chirurgici, già allora, tanto da ritrovarsi con una palpebra scesa, camuffata perennemente da ciglia finte. In secondo luogo l’attrice non si sentiva degna di un personaggio come Gilda, così ingombrante per una donna vulnerabile e bisognosa d’amore come lei. Ed infine, sentiva di non poter più corrispondere nemmeno al suo ruolo di attrice (Hollywood non aveva più bisogno di lei), di moglie (ben 5 matrimoni alle spalle) e di donna, tanto che, sentendosi ripudiata, passerà gli ultimi anni della sua vita a bere, perdendo non solo la sua bellezza, ma anche le sue funzioni mentali a causa del morbo di Alzheimer.
La straordinaria Grazia Schiavo regala ai suoi spettatori scene di esilarante comicità, con concessioni al dialetto e ai doppi sensi, proponendo frammenti di deliri estratti dal “Gilda” come “…ti amo tanto che un giorno ne morirò, Johnny”, accompagnati da baci e schiaffi continui e rivelazioni biografiche così scabrose o sconosciute da destare stupore. Ma fa anche di più: interagisce con il pubblico in modo da non creare preferenze tra quello maschile e quello femminile.
Eh sì, perché spiazza un po’ le donne quando si siede sulle ginocchia degli uomini, e nel tentativo di sedurli, desta sghignazzi ed una sorta di bonaria invidia. Ma si riprende immediatamente, instaurando con loro una sorta di tacita complicità ed inneggiando alla solidarietà femminile. Così desiderata dagli uomini, dunque, ma anche così vicina a tutte le donne che, proprio come lei, sanno bene cos’ è il dolore fisico scaturito dal mal d’amore e che, pian piano, vedono, quasi con sollievo, sgretolarsi sotto i loro occhi un mito così lontano dal quotidiano reale. E’ una Rita imperfetta, a cominciare dal vestito stretto e appositamente mal cucito da una sarta scappata col pompiere, e sfiancata da una dieta che la mette a stecchetto. Essa mette a nudo tutte le sue fragilità, un vuoto d’affetto che tenta di colmare con la disperata richiesta di conferme ed approvazione dal pubblico. E’ una femme fatale, ma nemmeno poi così convinta, una mamma, una donna che ama profondamente, ma non è corrisposta, una signora delirante tra le mura della sua casa, ma quasi disumanamente ineccepibile dietro lo schermo.
Una carrellata di splendidi vestiti vintage, provenienti direttamente dalla bisca di lusso di Ballin e non solo, sfila estemporaneamente su un palco sempre vivo e pregno di storia ed emozioni. Chissà quanto deve aver amato, odiato, cucito addosso a sé questo personaggio, la straordinaria Grazia Schiavo, che infine si rivolge anche al pubblico più giovane, lasciandolo riflettere a bocca aperta su un interrogativo amletico: La femme fatale, oggi, chi è? Esiste ancora? Ai posteri l’ardua sentenza. Dunque il famoso dualismo vittima o carnefice rimane irrisolto.
Gilda
Con Grazia Schiavo
Testo e regia di Mario Moretti
Collaborazione alla regia di Patrizia Schiavo
Aiuto regia Priscilla Micol Marino
Musiche dal vivo Francesco Marino
Luci e tecnica Simona Parigini, Sergei Yanchev
Elementi scenografici Battiti di cuore
Voce fuori campo Francesco Pannofino
Martedì 11 ottobre 2011 ore 21:15, Teatro dell’Orologio di Roma