Dall’8 al 20 gennaio Giuseppe Marini dirige Ugo Pagliai al Teatro Vascello con una produzione del Teatro Stabile del Veneto.
Wordstar(s)
Regia: Giuseppe Marini
Autore: Vitaliano Trevisan
Con: Ugo Pagliai, Paola Gasmann, Paola Di Meglio, Alessandro Albertin
Scene: Antonio Panzuto
Costumi: Gianluca Falaschi
Musiche: Marco Podda
Luci: Pasquale Mari
Produzione: Teatro Stabile del Veneto
Dall’8 al 20 gennaio 2013 – Teatro Vascello, Roma
L’operazione drammaturgica di Vitaliano Trevisan si manifesta in tutta la sua scomodità temporale in un concept scritturale che associa WordStar, il programma di scrittura più diffuso prima dell’avvento di Microsoft Word, ad un vecchio autore, Samuel Beckett, rendendolo obsoleto e decadente. Il tutto è incalzato dal ricordo della moglie e dell’amante dello scrittore, entrambe morte prima di lui, e tormentato dalla presenza del direttore di una rivista di studi a lui dedicata, che cerca di carpirgli un’ultima illuminante dichiarazione.
Sulla scena tormentata e morente, a vestire le pene, le ossessioni e i ricordi dello scrittore è Ugo Pagliai, che restituisce un Beckett del tutto sorprendente, da una goffaggine nelle movenze e negli atteggiamenti ad un’incapacità del gesto quotidiano ad un incredulità della propria solitudine. Un fine biografia che fa dello scrittore un uomo inaspettato, ormai rassegnato a non aspettarsi neanche se stesso, divorato dalle paure, intellettuali e non, che renderanno la voce di Samuel brontolona e lamentosa, e il cuore dell’attore capace di affondarci in silenzi commoventi e di insanabile leggera tristezza. È in questa ricercata dichiarazione ultima che si rapportano gli altri tre personaggi: Suzanne, la moglie morta prematuramente che rivendica della sua unicità nella vita dello scrittore; Billie, l’amica intima, l’amante, l’attrice che si dà al contraltare coniugale, costruendo un vero doppio beckettiano; infine, il bizzarro direttore che a tratti pare una figura da psicologismo capace di far inalberare Samuel.
Lo spettacolo è sicuramente un opera totale, nella misura in cui il tutto si coordina da sé, perché la regia di Giuseppe Marini, scandagliata ed esplicitamente dichiarata nel proprio sentimentalismo spudorato – con lo zampino delle musiche di Marco Podda -, si struttura e si cementa seguendo una logica meta-drammatica rimandante alla meta-testualità dell’autore. L’artificio linguistico con cui fisicamente viene scritto il copione – senza punteggiature – è lo stesso movente ideale che s-muove i contenuti del testo, facendone quasi un suono saggistico: «… L’intelligenza è solo un presupposto, tutto è un presupposto, bisogna vivere e poi scrivere, solo poi bisogna scrivere …».
Una spazialità scenica disegnata e livellata dal motore portante del personaggio di Samuel, lo stesso da cui parte la penna del Trevisan: il linguaggio.
La totalità sta proprio nella meditazione sul linguaggio, sulla scrittura, dove lo scrittore Beckett ha sacrificato un’intera vita alle (im)possibilità espressive e alla natura prima dell’uomo-artista. «… Essere artista è fallire, cosi come nessun altro ha il coraggio fallire …».
Un uomo spericolato che ha ispirato Trevisan, che ne ha fatto un classico d’oggi.
Omaggio? O confronto azzardato?