È una “nuova visione”, quella di Federica Gianni, una giovane regista romana, formatesi in regia e sceneggiatura alla Columbia University di New York, con all’attivo tre cortometraggi, girati tra l’Italia e gli USA: A Summerhouse, The Friend from Tel Aviv e Primo. Al momento Federica è impegnata nello sviluppo del suo primo lungometraggio, sotto la supervisione del regista Ira Sachs.
Si può forse già delineare un fil rouge che possa collegare i tre lavori della regista romana, che pur non mostrando mai gli stessi contesti ma al contrario rappresentando situazioni e gruppi umani estremamente eterogenei, sembra guardare tramite varie prospettive alle stesse problematiche, tra le quali il rapporto, a volte dialettico a volte di scontro, tra un individuo e una comunità. Che si tratti del rapporto tra il giovanissimo Walter e la sua distratta famiglia in A Summerhouse, il difficile confronto tra una comunità eletta come quella di adozione e quella di provenienza in The Friend from Tel Aviv, o l’incontro – scontro tra la rozza comunità di cacciatori di un paesino toscano e il raffinato cittadino Primo, che non sembra riuscire a trovare il linguaggio adatto per confrontarsi con loro senza sancire un’incolmabile distanza, scoprendosi inoltre incapace di “addomesticare” l’utilizzo della violenza che gli viene imposta, ma portandola al contrario alle sue estreme conseguenze.
Quelle tratteggiate da Federica sembrano essere storie sospese, all’interno delle quali i personaggi vengono accompagnati dalla regista per un breve tratto del loro percorso esistenziale, e poi abbandonati nella sua prosecuzione, fornendo allo spettatore pochi indizi su quelli che potrebbero essere gli sviluppi futuri. Non c’è dunque la presunzione dell’onniscienza del regista quanto all’opposto l’accettazione del mistero della psiche del personaggio, che viene mostrato spesso di fronte a un bivio, o a situazioni che ne mettono in crisi la struttura identitaria. Sta alla forza e alla creatività di ognuno dei suoi personaggi ristabilire un equilibrio, e c’è chi, come il piccolo Walter di A Summerhouse, lo fa tramite le invenzioni immaginifiche proprie dell’infanzia, riuscendo grazie a un fantasioso stratagemma ad attirare l’attenzione di una famiglia amorevole ma disattenta, e chi invece si trova a dover affrontare un’incapacità, una mancanza di forza e di conseguenza una frattura forse irreparabile, come il personaggio di Primo nel corto che porta il suo nome. Nel mezzo, c’è il cortometraggio The Friend from Tel Aviv, che ci mostra il personaggio di Noam, affrontare un momento di spartiacque estremamente complesso e delicato, ossia il cambio di sesso. L’elemento del gender in The Friend from Tel Aviv sembra essere al contempo il nucleo tematico attorno al quale ruota il corto, e all’opposto un aspetto che pur essendo centrale non viene mai sottolineato con zelo. Il cambiamento del protagonista diventa un aspetto emotivamente rilevante nel momento in cui un amico da Tel Aviv irrompe nella sua nuova vita e riaccende un sentimento che sembra essere sopito ma mai cancellato del tutto. Tale ritorno e l’incontro con “il nuovo” Noam non sancisce una distanza, quanto al contrario un rinsaldarsi dell’affetto che legava i due.
In conclusione, aggiungo qualcosa sul metodo di lavoro di Federica, che tende a basarsi su storie vere. The Friend from Tel Aviv è infatti tratto dalla storia del protagonista, che ha fatto la transizione e aveva un rapporto di co – dipendenza con una sua amica più grande che lo aveva ospitato. Sulla stessa linea d’onda, del racconto creato “in itinere” e il più possibile veritiero, Primo è stato girato utilizzando come protagonisti i membri di una vera squadra di caccia, che hanno fatto fare alla regista lo stesso tour del protagonista. Una grande parte della sceneggiatura è stata scritta durante la battuta di caccia, prendendo spunto dalle reali battute dei cacciatori.
Nel loro essere sempre “in transito”, tutti i personaggi dei cortometraggi diretti da Federica Gianni sono fotografati durante un atto di ricerca, scoperta o riscoperta del sé, e di confronto con affetti vicini o lontani, ricordandoci che il singolo crea e rafforza il proprio essere nel mondo solo e soltanto nel dialogo con l’altro.