Il titolo potrebbe ingannare: Scritti sull’arte tende a portare la nostra immaginazione ad una silloge, più o meno coerente, di saggi di estetica, similmente alle raccolte, spesso arbitrarie, dei testi di Florenskij, o di Rilke, o di Delacroix. Proprio ciò che questo volume non è, affidandosi, invece, l’assai meno lieve compito di presentare per la prima volta tutti gli scritti di Boccioni. In essi troviamo in primis quello che ci aspettiamo di trovare: il progressivo delinearsi – tortuoso percorso che costeggia e ammicca alla “geometria del curvo” divisionista e alle ardue sinestesie simboliste – dell’estetica futurista, le grandi ambizioni positiviste, la costruzione di un mondo del possibile, risultato di inusitate forze meccaniche.
Ma troviamo anche dell’altro. Quell’Altro che getta nuova luce sulla – mi sia concesso – lisa dizione “scritti sull’arte”. Troviamo lo spaccato, la descrizione esplosa, di una generazione posta sull’orlo dell’abisso, sul crinale di un cupo quarantennio destinato a cambiare, e anche di molto, la percezione stessa del movimento, del colore, della linea, del dinamismo – ovvero, sia detto per inciso, della Forza – . È il momento decisivo in cui tutto sembra mobile, tutto sottoposto ai dettami della Volontà: il mondo è plasmabile, lavorabile. E la cartina di tornasole ideale non è certamente il Manifesto, ma i taccuini, il diario di guerra, le lettere di un Boccioni meno che trentenne, che sono sì “scritti sull’arte”, ma rappresentano l’intima confessione dell’impossibilità di non dirsi Artista, dell’attualità pressante dell’Arte, della sua eternizzata contemporaneità, proprio lì, sotto il filo spinato del fronte, perché “da questa esistenza io uscirò con un disprezzo per tutto ciò che non è arte”.
Verrebbe quasi da dire: è un peccato che non abbia avuto il tempo di mettere alla prova questa convinzione.
SCRITTI SULL’ARTE
Umberto Boccioni, Scritti sull’arte, Mimesis 2011,
foto Boccioni, Autoritratto, 1908.