Teatro Vascello, Romadi Pier Paolo Pasolini regia Valerio Binasco con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Franco Ravera, Fulvio Cauteruccio, Fabio Mascagni, Pietro d’Elia scene Lorenzo Banci costumi Sandra Cardini musiche Arturo Annecchino luci Roberto Innocenti coproduzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana / Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia 17 febbraio 2016,
In prima assoluta a Roma, dal 16 al 28 febbraio, è presentato al Teatro Vascello lo spettacolo Porcile di Pier Paolo Pasolini, nella versione di Valerio Binasco, dopo il debutto della scorsa estate a Spoleto presso il Festival dei 2Mondi.
All’interno di una cornice scenografica idilliaca, dove ampi archi filtrano la luce che attraversa le foglie di un giardino di una tenuta borghese e che bagna il cortile interno, si sviluppano gli undici episodi del dramma pasoliniano. Una figura è in perenne contrasto con questo contorno apparentemente sereno: è Julian – Francesco Borchi –, figlio di due ricchi proprietari industriali – interpretati da Mauro Maliverno e Valentina Banci – che non sente di appartenere al contesto sociale in cui si trova, vivendo un disagio che lo imprigiona, cercando la propria personale liberazione nello sfogo di passioni segrete, “non naturali”, ma che lo fanno sentire vivo. Ciò che lui non racconta è la causa del dolore di Ida – Elisa Cecilia Langone –, da sempre innamorata di lui e forse affascinata da questo suo atteggiamento di distacco dal mondo.
Gli attori che si alternano sullo spazio scenico sono orchestrati perfettamente da una regia precisa e attenta, efficace nella sua strutturazione quasi geometrica. Ogni episodio è scandito dalla chiusura/apertura di un sipario proiettato in bianco e nero, che cala sugli stessi attori evidenziandone le sagome e che sembra quasi una risoluzione nel silenzio e nell’incomunicabilità della scena appena conclusasi: chi è in scena resta in penombra, ma si nota il cambio di qualità nell’atteggiamento, che sembra mutarsi in senso di sconfitta e incapacità. La chiave tematica del testo, questa reiterata impossibilità di vivere secondo i propri istinti, censurandoli – incarnata indubbiamente da Julian, ma anche dagli altri personaggi che vivono seguendo le coordinate della società e non le proprie –, crea un urto stridente con l’ambientazione perfetta e quasi da sogno, con il vestiario raffinato ed elegante. E mentre per tutti il tempo della pièce scorre senza intoppi, sul protagonista sembra abbattersi un’oscura maledizione che lo divora silenziosa, deformandogli il volto, e che lo porta in una realtà parallela, scandita più lentamente.
Il vissuto di ciascun personaggio è comunicato con forza e il risultato è un lavoro intenso, da cui è impossibile staccare gli occhi. Le risate amare del pubblico riecheggiano nel semibuio del teatro e confermano il paradosso che si crea nella società così raccontata: le debolezze di Julian sono in realtà una presa di coscienza coraggiosa di fronte a quello che manca, cosa che gli altri personaggi non sono in grado di riconoscere, ma che vivono nel loro incerto incedere, nelle riprovevoli azioni passate, in una voce che grida per esprimere un qualsiasi concetto, in un incontrollato pianto di rifiuto. Nessuno può salvarsi. Ed ecco che quell’ambiente sembra una distesa di fango, un porcile dove i personaggi sguazzano come i maiali antropomorfi dipinti da George Grosz.
Un lavoro estremamente interessante, da vedere.