Una specie di Alaska di Harold Pinter regia Valerio Binasco con Sara Bertelà, Alessandro Accinni, Orietta Notari dall’8 al 26 Ottobre Teatro dell’Orologio, Roma
Una specie di Alaska è un atto unico di un’ora in cui gioia, tristezza, paura, disperazione, rivalsa sono solo alcuni dei tanti sentimenti accuratamente miscelati dalla regia di Valerio Binasco.
La sala Moretti del Teatro dell’Orologio, piccola ed essenziale, sembra un tutt’uno con il palco e lo spettatore è catapultato nella vicenda a tal punto da sentirsi partecipe dei sentimenti dei protagonisti.
Il merito è anche degli attori Nicola Pannelli e Orietta Notari e soprattutto di Sara Bertelà interprete di una rappresentazione commovente per la quale i dieci minuti conclusivi di applausi con standing ovation sono risultati scarsi.
Per l’idea di Una specie di Alaska il premio Nobel per la letteratura Harold Pinter trasse spunto nel 1982 dal saggio medico intitolato “Risvegli” (da cui anche l’omonimo film del 1990 con Robert De Niro e Robin Williams) scritto nel 1973 dal neurologo Oliver Sacks il quale volle riportare tutte le osservazioni su casi da lui seguiti di persone affette da una particolare patologia neurologica e svegliatesi dal coma in seguito a trattamenti con una terapia sperimentale.
Deborah si sveglia dopo ventinove anni vissuti in coma pensando di essere ancora la bambina quindicenne che era prima di addormentarsi pronta a mettere il vestito che la mamma le ha preparato per il giorno del suo compleanno. Lei è sempre se stessa ma il mondo intorno a lei è completamente cambiato: la madre è morta, il padre ha perso la vista, il medico che l’ha tenuta in cura è il marito della sorella Pauline cresciuta fino a diventare donna.
Ma questi ventinove anni sono stati vissuti da Deborah. Non dal suo corpo ma dalla sua mente. Sono stati monotoni, sbiaditi, senza possibilità di misurare il tempo. Le è apparso di stare tra due specchi che si riflettono all’infinito. Tutto è immobile.
Non c’è solo l’afflizione nei vaghi ricordi di Deborah, c’è anche la gioia di tornare a vivere e di poter riabbracciare la sorella Pauline. Ma soprattutto c’è l’entusiasmo di voler festeggiare questo giorno come se fosse una seconda nascita e questo estremo sentimento di giubilo è il messaggio principale: è il desiderio positivo con cui bisogna approcciarsi alla vita per superare ogni aspetto apparentemente tragico. Tutto ha un inizio ed una fine e l’infelicità più grande non è niente di fronte alla gioia più grande.
La mente e il corpo possono non aver vissuto insieme per ventinove lunghissimi anni ma Deborah sa che ora è lì con la sua famiglia e con la sua nuova vita e non conta nulla se il cervello ha deciso di andare qualche anno in vacanza in una specie di Alaska.