VANITAS
Liberamente tratto da La Commedia della Vanità di Elias Canetti
Adattamento di Silvana Tamma
Regia Luca Ventura
Aiuto Regia Teodora Nadoleanu
Con Virginia Bassura, Eleonora Leone, Eleonora Iuele, Orazio Caputo, Andrea Standardi, Elisa di Francesco, Fabrizio Patriarca, Maurizio della Michelina, Ugo Maurino, Antonio d’Onofrio, Krzysztof Bulzacki Bogucki
Prodotto da Circolo degli Artisti-Teatro La Scaletta
Vanitas è stato presentato nell’ambito della rassegna “Exit Emergenze per identità teatrali”
16 dicembre 2011 h 21:00, Teatro Furio Camillo di Roma
La vani-tà acceca, luccica, sfavilla, confonde e illude; perfino l’argento degli specchi scenografici si riflette con tutte le sue guizzanti iridescenze sul muro del piccolo Furio Camillo. E’ per questo che una dittatura rappresentata da un sinistro signore in maschera color oro, seppur apparentemente nobile nel voler ripristinare un’etica tutta basata sull’essenza, si impone di mettere al rogo le immagini, i ritratti e gli specchi, celando in realtà l’ignobile intento di depersonalizzare l’individuo.
Questo è il tema della rappresentazione dell’eclettica e talentuosa compagnia La Scaletta, che si esibisce al teatro Furio Camillo in occasione della quarta edizione della rassegna Exit-emergenze per identità teatrali, con il riadattamento de La Commedia della Vanità di Elias Canetti.
Ad aprire la scena sono tre donne sguaiate che passano in rassegna, in apparente atmosfera da salotto, ormai brandelli di immagini e volti, divenuti ricordo e vano pettegolezzo. Apparente. Esse, infatti, fingono di acconsentire ad un ingiusto regime nascondendo una profonda infelicità con ampi sorsi di whisky. D’ora in poi si susseguiranno sul palco corpi convulsi, intrappolati nel loro Io incapace di guardarsi dentro, tutto proteso verso la ricerca di immagini di sé e degli altri -proprio perché proibite- ed incapaci di trovare, altrimenti, un’identità. Il corpo, fasciato da tubini neri e calze appositamente sfilate, è talvolta un grande ingannatore talvolta, forse, la parte più autentica di noi, quella che risponde in maniera evidente ai nostri più reconditi riflessi mentali.
Così si assisterà al susseguirsi di bislacchi personaggi: il direttore di un immaginario centro psichiatrico, circondato da un’umanità che vaga inquieta alla disperata ricerca di identità perdute; un narratore che si mimetizza tra il pubblico, seppur cinto da un pomposo vestito color oro; un venditore di specchi sottobanco (nonché diavolo tentatore) che fa una brutta fine.
Li vedremo scontrarsi, lottare, urlare e appropriarsi dello spazio prepotentemente, nel goffo tentativo di riempirlo, seppur di vani contenuti. Allo stesso modo belletti, veline, scarpe col tacco e bocche tinte di rosso celano maldestramente balbuzie inspiegabili, espressione di un profondo disagio sociale e della mancanza di un ignoto quid di cui si è all’incessante ricerca, fino alla deludente scoperta di essere un nulla, nemmeno rappresentato. E’ come se l’esterna ricerca dello sbarluccichio non coincidesse con quella interna, portando ad un’enorme conflittualità, palesata da dialoghi vani e insensati e accompagnata da tic e atteggiamenti autodistruttivi. Come scritto nella prefazione del libro di Canetti, la difesa dell’Io contro ciò che minaccia la sua precaria e fittizia consistenza porta all’auto-distruzione o addirittura alla morte; d’altronde l’uomo non può fare a meno dell’immagine, essa è fuori e dentro e si confonde addirittura con l’essenza. Basti osservare la coppia di neosposi incapace di comunicare realmente, la cui vita è tutta ridotta ad una fugace apparizione sociale. Volti coperti da inespressive maschere dorate volteggiano in ricordo dell’ Eyes wide shut kubrickiano, proprio sulle note della quasi satanica colonna sonora Masked ball. E, tra barlumi di false rappresentazioni e flash di miraggi riflettenti miscredenti immagini, questi personaggi, così straordinariamente attuali e grotteschi, fingono di accettare un regime, ma non perdono occasione per infrangerlo, alla schizofrenica ricerca di se stessi. Follia che si ripercuote sulla voce, le espressioni alterate del viso e del linguaggio, ma soprattutto su incontrollabili corpi imprigionati da complesse -e talvolta forzate- architetture mentali, che si identificano nell’ apparire.
“La vanità è una sgualdrina. Liberiamoci di tutti i suoi fronzoli dal nostro corpo!
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ho avuto modo e piacere di leggere alcune delle sue critiche teatrali, e devo dire che emerge un “carattere omogeneo”, anche se nella critica “VITA” nel finale mi aspettavo un punto più “deciso e crudo”.
La ringrazio per il tempo dedicato alla lettura delle mie critiche…ma la ringrazio ancor di più della critica rivoltami, che talvolta una critica intelligente è meglio di un elogio, nonchè uno spunto per migliorare sempre.
Sono le “osservazioni” o “punti di vista” che fanno crescere l’essere umano. Con piacere, le auguro buon lavoro.