Los versos del olvido
di Alireza KhatamiVenezia 74 – Orizzonti
Una volta un amico, lo scrittore Dario Falconi, mi ha spiegato il significato di una parola in castellano.
“In castellano olvidar significa dimenticare.
Etimologicamente però i due verbi indicano un processo di rimozione del ricordo totalmente diverso.
Mentre dimenticare vuol dire uscire di mente, olvidar descrive solo un crescente oscuramento dell’immagine.
La cosa dimenticata è del tutto fuori di mente.
La cosa olvidada diventa solo più opaca ma continua ad essere ostinatamente presente.
Dimenticanza evoca la pampa argentina, indistinta e riposante.
Olvido, una milonga affollata di fantasmi allegri e tristi.”
Ho conosciuto Dario a Buenos Aires, proprio mentre la mia vita danzava, letteralmente, in un milonga stracolma di fantasmi. Io ancora non lo sapevo, ma questa è un’altra storia. Eppure… questo dettaglio “etimologico” mi è tornato in mente subito dopo la visione di Los versos del olvido, sorprendente opera prima del regista iraniano Alireza Khatami.
Siamo in Cile, Sud America, terra di desaparecidos. In conferenza stampa il regista ha dichiarato che appena arrivato a Santiago del Cile ha percepito la somiglianza di atmosfere con la sua Teheran. La verità è che potremmo essere ovunque.
Il protagonista della storia è il vecchio custode di un obitorio, interpretato dallo straordinario attore spagnolo Juan Margallo. L’uomo non ricorda il suo nome, nonostante abbia una memoria impeccabile. Trascorre le sue giornate prendendosi cura delle piante e mostrando i cadaveri ai parenti dei defunti.
In seguito all’irruzione delle milizie militari, a causa di una protesta in una città vicina, l’uomo scopre in un sacco mortuario il cadavere di una giovane donna sconosciuta. Il desiderio di assicurarle una degna sepoltura lo spinge ad intraprendere una sorta di viaggio mistico, accompagnato, nell’impresa, dai misteriosi personaggi che lo circondano (un becchino ossessionato dalle storie dei morti che deve seppellire, una donna in cerca della figlia persa molto tempo prima e un autista di carri funebri).
Niente assomiglia a una milonga infestata di fantasmi più del cinema, con l’immagine, quella in campo e quella fuori campo, comunque presente. Khatami fa del linguaggio cinematografico un’arma contro la dimenticanza scegliendo una dimensione permeata di olvido e quindi di presenza, di memoria. Fin dal principio la dimensione visionaria e immaginifica (voler conoscere le storie dei morti) si fonde a quella reale (spalare la terra, seppellire).
Nostro personale, e sorprendente, colpo al cuore, Los versos del olvido è un poema sulla memoria e sul linguaggio delle immagini. Da Paul Celan a Martin Heidegger, la ricchezza delle suggestioni letterarie si abbandona, nel corso del film, a un realismo magico che tanto ricorda Gabriel García Márquez e i racconti di Jorge Luis Borges attraversando deserti, labirinti e biblioteche fino a incontrare balene volanti.