L’Accademia di Francia a Roma presenta a Villa Medici dal 26 giugno al 1 settembre 2013 la mostra In un altro aprile di Victor Man, terza e ultima tappa del percorso espositivo sul tema dell’ Accademia, curato da Alessandro Rabottini.
Artista: Victor Man
Titolo: In un altro aprile
a cura di Alessandro Rabottini
Luogo: Accademia di Francia a Roma, Villa Medici– Viale Trinità dei Monti 1
fino al 1 settembre 2013
In foto: Victor Man, Grand Practice, 2009.
Nei quadri di Victor Man nell’immediatezza percettiva si pone il non-luogo: anche la cornice non è più un confine, il limite della rappresentazione, una linea che circoscrive il punto di vista della comprensione; capire si delinea come un’operazione totalmente rimessa nelle mani di una memoria collettiva della quale noi, in quanto spettatori, non possiamo non far parte . La cornice deve esplodere e lasciare il posto alla tela: le immagini sono quasi come buchi neri in una parete luminosa, ambivalenti e fiabesche in continuità con il reale, perciò sta a noi decidere dove ha inizio l’opera e interrogarsi se sia necessario che ci sia una fine. Linee circolari rompono la geometria della prospettiva resa dal colonnato ritratta sulla prima tela senza titolo, un’ altra tela poggia sulla pelle di un animale e finisce per omettere la testa in un ritratto di una donna seduta su una sedia, decidendo consapevolmente che questa non deve entrare a far parte dello spazio rappresentativo.
Il blu, il verde, il nero sono i colori dominanti che costituiscono forme, fisionomie ed ombre di ciò che l’artista ritrae: il nero è il colore del non definito, dell’ambivalente, del non riconoscibile che ha in sé la potenzialità di una ricerca identitaria in continuo movimento, di un’ incessante indagine della natura umana.
La tematica eterogenea dell’artista potrebbe solo apparentemente lasciarci storditi tanto da pensare di poter perdere il percorso artistico dell’autore, ma se si è buoni osservatori e se si ascolta bene il rumore di quel fiume sotterraneo che scorre come filo conduttore dell’intera esposizione si viene trasportati nel cuore dell’esperienza e del contenuto artistico: la dicotomia dell’esistenza umana, l’ambiguità costitutiva della sua essenza.
Il tema dell’incertezza esistenziale si intreccia con transizioni dal sapore fiabesco e amnesico dove l’oscillazione tra i due sessi lascia il posto anche ad altre forme di passaggio come quella tra umano e animale, volto e maschera.
L’opera di Victor man è continuamente attraversata da richiami storici, artistici e letterari: in Grand Practice assistiamo ad una dolorosa metamorfosi dall’uomo al cavallo, e nella sua Giuditta e Oloferne non c’è più nulla di quell’aggressività, quell’impeto con cui la tradizione, da Caravaggio in poi, ha raffigurato questa immagine ricorrente nella storia dell’arte. Di storia se ne scorge soltanto un’ eco lontano nello sguardo pietrificante della donna, ma il fatto che il pittore romeno ritragga tra le sue braccia una maschera primitiva dal richiamo cubista del periodo blu di Picasso, è un’ ulteriore prova di quella rottura con la tradizione che ci riporta all’atemporalità sospesa di un pittore francese vicino al suo stile, Balthasar Kłossowski de Rola, conosciuto con lo pseudonimo di Balthus.
Non è un caso che tre delle opere esposte nella mostra sono state realizzate nell’atelier di Balthus: la scelta tematica della sessualità infantile dei ritratti di giovani donne che, nell’esperienza artistica di Victor Man arriva a toccare il vertice dell’androginia, la tensione verso il fiabesco, il sacrale, il mitologico che, pur non avendo bisogno di astrazione dal reale, riconoscono nel «già visto» la sottile percezione del rimosso, del conturbante, sono solo la testimonianza del bagaglio esperienziale di un percorso artistico ancora in fieri come quello del pittore romeno.
Come per il realismo figurativo di Balthus, l’artista si richiama al reale per sovvertirne l’ordine: in una violenta conversione, il riconoscibile viene crocifisso, il conosciuto diventa estraneo, e così, nel reale, l’opera d’arte riprende il suo senso segreto. Alessandro Rabottini, curatore della mostra descrive così questo passaggio: «Si parte con lavori di natura quasi astratta, anche se per Man non si può mai arrivare a parlare di astrazione perché c’è sempre un elemento figurativo che riporta alla realtà». Se nell’opera di Balthus l’attimo viene eternizzato in un “dinamismo statico” che agisce sulla natura organica dei corpi, la prima esperienza di Victor Man sulla fotografia è la testimonianza della staticità eterna delle sue figure, della loro mobilità interiore che mostra, come afferma il curatore della mostra, «quanto ricca e misteriosa sia l’essenza delle cose al di là della loro apparenza».