VITA

0

“Mamma, io sto aspettando qualcuno che sa esattamente quello che accadrà, ma a cui non importi quando accadrà”.

Vita. Una parola di sole quattro lettere, il cui significato comprende tutto. Vita è amore, dolore, ricordo, azioni, emozioni… C’è termine che possa descrivere meglio di così ciò che comprende? Vita è esistere e, se siamo particolarmente bravi o fortunati, è sentire. Ẻ proprio questo il tema dello spettacolo di Angelo Longoni, regista, tra le altre, della serie televisiva Il campione e la miss. O sarebbe meglio parlare di non-vita? Tanta onnicomprensività, ma altrettanta indeterminatezza, in questo termine. Quante volte, per esempio, malediciamo il suono capriccioso di una sveglia che ci solleva dallo stato di torpore incosciente della notte passata?

Ebbene, era da ben quindici anni che la povera diciassettenne (interpretata da una tenera e dolce Eleonora Ivone), vittima di un incidente stradale, si trovava in questo torpore, e chissà cosa avrebbe dato per schiacciare il pulsante di quella sveglia ed alzarsi dal letto come faceva tutte le mattine prima dell’infortunio. E’ proprio la vita (o meglio il suo ricordo) che ci raccontano le tre vittime di tale disgrazia, molto semplicemente, in piedi e senza artifizi, davanti a tre leggii. D’altronde, per un tema così essenziale, non c’è bisogno di altro se non di un fascio di luce che illumini i protagonisti ad intermittenza e di una carica di emotività e concentrazione interpretativa fenomenali. Una figlia che interviene come voce interiore dei suoi cari e rievoca teneramente episodi di vita, insieme ad un bravissimo e fintamente burbero Emilio Bonucci e ad una commossa ed intensa Pamela Villoresi. Due genitori, alle prese con qualcosa di molto più grande di loro, affrontano dolore e conflitto con estrema dignità ed immenso amore, ma creando tra di loro una voragine quasi insanabile.

Il padre non sopporta più l’idea di dover ancora torturare il corpo emaciato ed irriconoscibile della sua bambina, preferendo aggrapparsi solo al suo lontano ricordo: ella era, e sempre rimarrà, il compimento della sua mancata realizzazione nel nuoto, la dolce ragazza che si preoccupava della sua salute e lo istigava a smettere di fumare e, ancor prima, la piccola bimba che si allontanava sulla bicicletta mentre lui fumava una sigaretta sulla sua panchina preferita. Quella era la sua bambina, solo quella, come se il tempo si fosse fermato proprio a quindici anni fa e nulla di nuovo fosse accaduto. Adesso non la riconosceva più e quasi se ne vergognava, tanto che avrebbe preferito scrivere il suo nome su una lapide per porre fine a quello straziante limbo, alla sua sofferenza. Perché tenerla ingiustamente inchiodata a quel letto, strappandola dalle braccia di Dio! O è viva o è morta! E che Dio è un Dio che tratta sadicamente i figli come marionette attaccate ai suoi fili? Egli non può che detestarlo! Ma perché proprio a lei? Era lei che avrebbe dovuto sotterrarli!

L’amore di una mamma, che invece in Dio ci crede eccome, è comunque diverso, perché carica sul suo corpo un forte dolore fisico, proprio come se le avessero strappato un lembo di carne dal ventre. Per lei la sua bambina “è” ancora adesso; essa è cresciuta, diventando una giovane ragazza di 33 anni ed ogni piccolo movimento involontario ne è la chiara testimonianza.

Nella prima parte del lungo racconto la tenerezza è il sentimento dominante. Viene, infatti, descritto l’incontro, in treno, di due ancor giovani genitori che, proprio quella fatidica sera, si ritrovano ignari a fare l’amore come due ragazzini; stralci di vita di una diligente adolescente sognatrice che fa i compiti e va a nuoto, proprio come tutte le ragazze di quell’età. Poi i toni cupi dell’amarezza, quelli scaturiti dalla piccola bugia da innamorata da cui tutto ebbe inizio, pagata per sempre e accompagnata dai pesanti sensi di colpa del padre. Sarà inaspettatamente la mamma, presa dal delirio di un battito d’ali nere accanto alla febbricitante figlia, a porre fine a tanto dolore, regalandoci un monologo di disperazione intensa. Il conflitto familiare era ormai diventato il conflitto di un paese intero, diviso in due blocchi contrapposti, dove l’avida sete di giudizio senza cognizione di causa di un popolo ignorante colpiva insensibilmente un padre profondamente innamorato della figlia, additandolo come un assassino.

Sarebbe riduttivo enumerare le riflessioni che uno spettacolo del genere può far affiorare nella mente di uno spettatore impotente ed incapace di rispondere ad innumerevoli domande: qualunque stato dell’esistenza, cosciente o meno, è vita? Dove iniziano e dove terminano i labili confini etico-legali in cui risiede il diritto per una persona di togliere la vita ad un altro essere e quello, altrettanto volontario, di indurre un corpo, che altrimenti morirebbe, a vivere artificialmente? Dove finisce la responsabilità dell’azione umana e comincia quella naturale? Qual è il ruolo di Dio in tutto ciò?

Noi, nella nostra piccolezza, dovremmo tenere a mente, in ogni singolo momento, il dono prezioso che ci è stato concesso, poiché a volte un concetto così essenziale sfugge alla nostra vista ottusa. Che vita non sia sinonimo di una parola altrettanto onnicomprensiva come amore? A volte l’amore è un motore talmente forte da essere in grado di tenere in vita anche chi non è presente.

VITA

Scritto e diretto da Angelo Longoni

Con Pamela Villoresi, Emilio Bonucci e Eleonora Ivone

Dal 28 ottobre al6 novembre 2011, ore21:00,Teatro Belli di Roma

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Avatar

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi