“Le parole sono importanti… Le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è importante che siano quelle giuste. Ma la parola non è mai giusta, la parola è insufficiente, incompleta, inconsistente, eppure accussì presente: perché tiene ‘na musica, ‘nu pensiero, ‘na voce che oramai nun ce sta cchiù. Le parole sono tutto quello che abbiamo…quando non ci sono, per un attimo, capiamo ciò che siamo”.
Alfonso Sessa propone al Teatro Valle, con la regia di Duccio Camerini, una drammaturgia che si spinge ben al di là della parola: i gesti, le luci, i ritmi e i timbri narrativi, le immagini evocate, il comico e il tragico, le coloriture dialettali intrecciano altrettante drammaturgie, a dipingere un affresco vivo di variegata, calda, intensa umanità.
20 agosto 1799: donna Eleonora Pimentel (Leonora Pimentella, per i Napoletani) attraversa a testa alta la Piazza del Mercato di Napoli, pronta ad affrontare la forca, con una tazzina di caffè in mano.
Prima di lei, e davanti ai suoi occhi, sono stati giustiziati molti altri intellettuali e borghesi giacobini, che per sei mesi hanno dato vita alla Repubblica Napoletana, sulla scia dell’esperienza rivoluzionaria francese. Attorno al patibolo, assetata di vendetta, è radunata una folla ostile di popolani filo-borbonici, i lazzaroni, gli stessi che hanno combattuto ferocemente e coraggiosamente nelle strade della città, per difendere la monarchia reazionaria del re Ferdinando contro la Francia della Rivoluzione. I due protagonisti ideali della vicenda, due fratelli, uno lazzarone e l’altro giacobino, presenziano entrambi all’impiccagione di piazza. L’uno finirà per divorare l’altro, in un episodio di cannibalismo che appartiene alla storia e non alla fantasia.
Nessuno ha torto e nessuno ha ragione, nella storia di Napoli che Alfonso Sessa (autore del testo e unico attore, napoletano) racconta, come fosse una fiaba feroce, a un pubblico che lo ascolta senza lasciarsi sfuggire per un attimo il filo della narrazione. I giacobini si infiammano per i nuovi ideali repubblicani, forse ancora poco radicati, di libertà e di uguaglianza. Chi nel popolo si schiera con la reazione autoritaria, d’altra parte, risponde a ragioni viscerali, allo stesso tempo storiche, sociali, di conservazione e di identità culturale. E’ la storia di una guerra civile fratricida che in Italia si ripete da secoli, palese o sotterranea, con analoghi schemi: cambiano i protagonisti, i singoli individui, i luoghi, ma non i meccanismi.
Alfonso Sessa ha la capacità di creare sul palco, dal nulla, un complesso mondo di immagini: intere folle vocianti, cortei regali, riti sacri e profani e, allo stesso tempo, individui còlti nella loro unicità, in scene familiari ed intime di irripetibile vita vissuta, sia pure nella fantasia di una ricostruzione storica romanzata. Una raffinata commistione di tecniche narrative e interpretative (il racconto fiabesco e leggendario, la storiografia sociale, tocchi di commedia dell’arte, spunti cabarettistici, oltre, ovviamente, al teatro di narrazione), miscelate con elegante sobrietà, creano una rappresentazione nuova, potente, profondamente attuale e coinvolgente.
Il Teatro Valle Occupato, durante la Tre-Giorni di drammaturgia contemporanea (Autori per il Teatro Valle Occupato), offre con questo spettacolo un esempio alto di nuova drammaturgia e dimostra come, nello spazio fisico del teatro classico all’italiana, i linguaggi contemporanei possano acquistare, quasi paradossalmente, un respiro ideale più ampio, una libertà di contatto fra autore e pubblico difficilmente raggiungibili in altri contesti. Bastano una valigia, una scaletta, un’illuminotecnica essenziale, ma immaginifica, all’interno di uno spazio appositamente concepito per accogliere e contenere fantasie, e il miracolo del teatro deflagra.
VITA, MORTE E MIRACOLI DEL 1799
drammaturgia Alfonso Sessa
regia Duccio Camerini
con Alfonso Sessa
fotografia Giulia Natalia Comito
15 novembre 2011, ore 21:00, Teatro Valle Occupato, Roma