Viva la libertà

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La redazione di Pellicole di cartapesta, in collaborazione con la rivista indipendente di critica e informazione cinematografica Cinema Bendato, propone la recensione del film Viva la libertà di Roberto Andò. La recensione è di Alessia Paris.

Viva la Libertà, di R. Andò, Ita 2013, 94′

in uscita nelle sale cinematografiche il 14 febbraio 2013

Sceneggiatura: R. Andò, A. Pasquini

Soundtrack: M. Betta

Fotografia: M. Calvesi

Montaggio: C. Benevento

Distribuzione: 01 Distribution

Interpreti: T. Servillo (Enrico Oliveri/Giovanni Ernani), V. Mastandrea (Andrea Bottini), M. Cescon (Anna), V. Bruni Tedeschi (Danielle), A. Bonaiuto (Evelina Pileggi)

L’idea, nonostante la notorietà cinematografica del tema del doppio, è fresca e originale. Due fratelli, gemelli, e un cambio di ruoli. Uno, il segretario del principale partito d’opposizione italiano, l’altro, uno scrittore e filosofo con trascorsi in manicomio. Entrambi interpretati dall’ennesimo Toni Servillo «in stato di grazia», o qualsiasi altro tipo di elogi sotto forma di frasi lampo che scrivono i giornali “veri” e che vengono sempre incollati in bella vista con 4 stelle accanto, sulle locandine o negli intervalli di nero tra una scena e l’altra dei trailer. Ma torniamo a noi, anzi a loro: Enrico Olivieri, il politico, e Giovanni Ernani, il fratello filosofo che firma i suoi libri con tale pseudonimo, ispirato forse dal romantico Hernani di Victor Hugo.

E’ certamente tanto provocatoria quanto irresistibile la decisione di Roberto Andò di far ritrovare da un giorno all’altro un “matto” ad un soffio dal governare il Paese, ma è anche vero che l’assistente del segretario di partito, Andrea Bottini – un “abbottonato” Valerio Mastrandrea -, sussurrerà a Giovanni Ernani un’illuminante e comica confidenza: «Sa cosa mi spaventa? Che io uno come lei lo voterei». E’ proprio qui che Roberto Andò sembra riuscire a farci capire meglio di qualsiasi altro momento del film, quanto l’Italia si trovi in una condizione disperata, dove in un mare di finzione, di discorsi privi di senso perché preparati da altri, di ipocrisia, di illegalità legalizzata è forse l’aspetto puramente umano, vero e reale che manca completamente del tutto, trasformando la politica in una sottoforma di reality incomprensibile, e soprattutto finto.

E non è infatti assolutamente un caso il parallelo accostamento tra cinema e politica che si sussegue per tutto il film. Non è ovviamente un caso che Enrico Olivieri si ritroverà sul set di un film, mentre il fratello risponderà alle domande dei giornalisti increduli di fronte al suo cambio di condotta politica. Viva la libertà per quanto sia evidente trovi ispirazione al governo Berlusconi e all’inesistenza di un’opposizione concreta di sinistra, riesce ad essere attuale ancor di più oggi, con un Grillo – un comico per l’appunto, che non pochi chiamano o hanno chiamato “pazzo” – urlante alle piazze piene, mentre nel backstage di chissà quale studio televisivo i politici dei partiti “veri” rileggono i fogli con i loro discorsi mentre qualcuno gli trucca la faccia. Non è certo questa la sede per parlare di politica, e d’altronde con i miei 21 anni e ammetto, un interesse esponenzialmente inferiore rispetto alla mia cinefilia, non avverto nemmeno di avere la maturità per parlarne approfonditamente, avendo inoltre vissuto in un Paese in cui dalla mia nascita (o quasi) è esistito sempre e solo il nome di Silvio Berlusconi, eppure è abbastanza evidente che l’unico che in questo momento in Italia stia facendo una vera campagna elettorale, girando le piazze dell’Italia è Beppe Grillo, un comico, un “pazzo”, ma che riesce a creare un dialogo perché capace di farsi capire, proprio come il Giovanni Ernani camuffato da suo fratello gemello Enrico Olivieri.

«Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua» dice Toni Servillo per bocca di Giovanni Ernani usando le parole dell’ode A chi esita di Bertold Brecht e lo spettatore, passo dopo passo, finisce anche lui per sognare e credere in quest’uomo uscito dal nulla e conosciuto da tutti, riuscendo a convincersi, forse anche solo per un secondo, che il cambiamento è possibile. Ma poi, nell’ultima scena del film, tra un “ta-ra-ri” e un’inquadratura alle scarpe, la delusione si confonde alla presa di coscienza, lasciandoci immobili sulle poltrone, ancora per qualche secondo, prima che le luci si riaccendano e si possa ridere di gusto confrontandosi sul film.

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Redazione

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