Al MAXXI vanno di scena i lavori di William Kentridge. Attore, scenografo, regista e ovviamente fabbricante di sogni.
Autore: William Kentridge
Titolo: Vertical Thinking
fino al 3 marzo 2013
MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo
Via Guido Reni 4/A – 00196 ROMA
Reportage fotografico di Luca Gandolfi
Trattieni il respiro. Conta il tempo. Diffondi l’evidenza.
Queste le tre serigrafie che colpiscono di più. Forse potrebbero racchiudere il modus operandi dell’artista. Impossibile. Niente di tutto ciò che si vede al MAXXI e che riguarda William Kentridge può essere racchiuso tra confini. Non si può schematizzare qualcosa di così onirico e affascinante. Creatività allo stato puro. Grezza come il più bel diamante.
Sapete come realizza i suoi video? Con disegni a carboncino. La costruzione delle scene poi avviene attraverso diversi fotogrammi proiettati in sequenza. Lui però, e qui viene il bello, disegna sempre sullo stesso foglio, cancellando il disegno precedente. Le cancellature ovviamente si vedono. E così il passato è presente in ogni futuro. Tutto fa parte di tutto, ogni spostamento d’aria ne crea un altro e il tempo resta lì a guardare l’evoluzione.
Eccezionale.
È il tema della memoria, dell’evocazione, dell’evolversi della vita. È l’attraversamento dei confini. Come viene rappresentato nel North Pole Map, il grande arazzo a centro sala con sagome che ricordano Dalì, ma anche Mirò. D’altronde tra fabbricanti di sogni ci si intende.
Essendo uno scenografo poi, Kentridge ha una immaginazione così fervida da permettergli di costruire interi mondi paralleli. Come fa nel video realizzato con Peter Galison, The Refusal of Time, dove fonde musica, teatro, proiezioni, interagendo con il pubblico; la macchina che respira, – molto leopardiana – posizionata al centro della camera, sembra che voglia camminarci addosso. I metronomi gestiscono il ritmo di vita, del Mondo in completo caos, completamente pieno di tempo. Nel Mondo c’è troppo tempo e ce ne vorrebbe di meno.
È un folle che impressiona folle, e lì dentro si diventa parte integrante dello spettacolo.
La sua è una ricerca costante, un’intuizione, una capacità di pensare verticalmente e non soltanto in modo piattamente orizzontale.
Si direbbe una bellissima esposizione. Eppure si fa fatica a dare giudizi, semplicemente perché tra quelle mura così pesanti, così materiali, così prorompenti dentro l’aria, si materializza qualcosa di effimero, di non esistente. Si materializzano ombre. Mai come ad osservare William Kentridge, il reale è ciò che non esiste.