Bergonzoni/Rodolfi | Nessi

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di e con Alessandro Bergonzoni

regia di Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi

produzione Allibito Srl

18 Novembre, Teatro Vittoria, Roma

Alessandro Bergonzoni, attore, regista, scrittore, filosofo, pittore e scultore, è tornato in scena al Teatro Vittoria dal 16 al 20 novembre con la sua quattordicesima fatica diretta insieme a Riccardo Rodolfi: Nessi, spettacolo monologante che si profila come una riflessione filosofica sulla ricerca della verità, sul senso di vita e morte e sul sottile filo che separa queste condizioni eternamente intrecciate nella trama esistenziale. Nel titolo infatti è riassunta l’esortazione dell’artista a creare connessioni e legami tra noi e ciò che ci circonda, a non accontentarsi, a vivere con coraggio, a compiere lo straordinario e non il “possibile”. Ad essere parte attiva e viva del Tutto e a uscire da questa condizione di prematurità che ci fa procrastinare la vita nella continua paura della morte.

Lo spettacolo si apre sul buio, la voce fuoricampo dell’attore interpreta il dialogo tra un uomo che, rimasto senza luce, in trappola, si sente morire e un altro che gli dà bizzarre istruzioni per riportare la luce in questo luogo ignoto.

Il moribondo però vuole arrendersi, medita di uscire di scena prima dell’inizio, si abbandona alla frustrazione, auto-destinandosi alla morte. Ma l’altro, la scintilla vitale, molla propulsiva dello spettacolo, non glielo permette, lo costringe a venire alla luce, al mondo. Così, allo squillo di una campanella antincendio, Bergonzoni domanda: “Come moriamo? Come mandiamo le nostre vite in fumo? “Al termine del prologo la luce illumina una scena definita “prematura”: nebbia fitta e tre incubatrici in cui è custodito il testo che l’attore talvolta consulterà.

Sarebbe inutile e inappropriato descrivere dettagliatamente uno spettacolo che, sulle note della surrealtà, attraverso le forme narrative e semantiche tutte bergonzoniane, stravolge, crea o piega non solo la logica del discorso, ma persino l’etimo delle parole. A seconda della propria necessità espressiva e filologica, Bergonzoni forza le radici dei vocaboli e degli spettatori attraverso associazioni suggestive e assurde, in un contesto metasemantico che rivela profonde chiavi di lettura. In quasi due ore di monologo inarrestabile, di voli pindarici e filosofici, di domande scomode ma essenziali, lo spettatore, esortato e investito dalla forza dell’artista, passa dalla risata allo stupore, dalla rivelazione alla rivoluzione e, chissà, magari anche all’evoluzione.

Sulla scia stilistica dell’autore, il titolo Nessi potrebbe essere letto Nessie, come il mostro di Loch Ness. È infatti un vero e proprio mostro quello che si annida negli abissi della nostra società e di cui qui si tratta: la solitudine, l’incomunicabilità, l’incapacità di ascolto, di creare legami per realizzare la grande tela della Vita.

“Tessere o non tessere, questa è la grande domanda.

[…]Rammendalo, rammendalo sempre Uomo: ama e ricama.”

Tra un gioco di parole e l’altro, accolti dal pubblico sempre con sincera ed esplosiva ilarità, Bergonzoni tocca temi fondamentali dell’esistenza con l’apparente leggerezza e ludicità del teatro dell’assurdo, costituendo un successo al botteghino- finalmente meritato-  tale da costringerlo, dopo l’insistenza e la durata degli applausi, a concedere un generoso bis.

Oltre all’abilità, riconosciuta, di Alessandro Bergonzoni, egregio nella drammaturgia e nell’esecuzione, la nota di merito di questa pièce è che, pur intrattenendo brillantemente lo spettatore con due ore di risate, solleva domande e spunti di riflessione che si incidono nella mente continuando a riecheggiare.

«A volte si dice “Mi sono perso” Il problema non è che Ti sei perso ma Cosa ti sei perso. Chi non hai accarezzato, chi non hai abbracciato, chi non hai visto. Allora, siamo nati, siamo pronti? E’ prematuro? Possiamo venire al mondo? Siamo innati, siamo sconclusionati, siamo alluvionati, forsennati? Siamo forsennati. Ah quindi c’è un dubbio, forse nati, non abbiamo certezze. Dice “Son pronto a morire”. Se lo è, non ti voglio neanche vedere. Voglio sapere: sei pronto a vivere?»

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