| R. Andò | Le Confessioni

0

locandina-le-confessioni-high

 Le Confessioni, Roberto Andò, 100′

Produzione Bibi Film; Barbary Films; Rai Cinema.

Distribuzione 01 Distribution

@ al cinema dal 21 Aprile 2016

Con la sua 61esima edizione, la cerimonia dei David di Donatello ha lanciato un messaggio chiaro: nel cinema italiano qualcosa sta cambiando. Con i trionfi de Lo chiamavano Jeeg Robot e Perfetti Sconosciuti, esso sembra realmente intenzionato a virare rotta verso lidi che, seppur non del tutto inesplorati, fanno ora drizzare le orecchie anche a quella fetta di pubblico incline a snobbare il cinema nostrano perché o troppo serio o eccessivamente demenziale.

Sulla scia di questa ventata d’aria fresca si colloca la nuova fatica del regista palermitano Roberto Andò, il quale, da allievo di Federico Fellini e Francesco Rosi, stringe il pugno su quell’autorialità registica che fa della tradizione non soltanto una questione ideologica, ma anche stilistica e di contenuti.

La trama del film è piuttosto lineare: in Germania, all’interno di un albergo di lusso, sta per svolgersi un summit che vede come protagonisti i ministri dell’economia delle più influenti nazioni. Intenzionati a varare una manovra segreta che avrà ripercussioni negative su alcuni paesi, ogni loro certezza crolla nell’istante in cui il corpo del direttore del Fondo Monetario Internazionale – Daniel Auteuil – viene ritrovato esanime all’interno della propria camera d’albergo. L’ultima persona ad aver parlato con lui è il monaco certosino Roberto Salus – Toni Servillo –, a cui i ministri temono che il direttore abbia rivelato ben più di quanto sia lecito dire a un confessore.

Un thriller politico, dunque, che in un primo momento non può non far pensare al Todo Modo di Elio Petri, ma che, tanto intriso com’è di riferimenti e citazioni, si ritrova catapultato nel limbo di un indefinibile amalgama cinematografico. Da un lato ci pensa lo stesso Andò, attraverso l’affermazione di uno dei suoi personaggi, a ricollegarci alla storia del cinema citando l’Io confesso di Alfred Hitchcock. Richiamo già evidente, oltre che da titolo e dalla trama del film, anche dal piano sequenza che accompagna i titoli di testa: un’automobile sfreccia sinuosamente lungo una strada asfaltata immersa nel verde, per poi arrestarsi davanti a un hotel che, come un’antica fortezza tedesca, è circondato da un lago sconfinato.

confessioni

I rimandi cinematografici all’interno del film – da Chaplin a… Sorrentino? – seppur evidenti, sono privi di coerenza connettiva: essi rimangono infatti incanalati nel beneficio del dubbio: sono voluti o si tratta di puro riempimento? E se voluti, perché? Tutto ciò non può che influire sul tema di fondo del film: il dilemma etico incentrato sull’economia. La narrazione, partendo dalla parabola della mela di John Maynard Keynes che, a grandi linee, teorizza il condizionamento frutto di scelte specifiche del fattore economico, si sposta da un ambito terreno, fatto di cinismo e assoggettamento, a uno ultraterreno, fatto di turbe dell’anima appena sussurrate e tradotte nel bisogno istintivo di voler fare la cosa giusta.

Tutto nel film di Andò sembra essere lasciato in superficie. La fantomatica manovra economica, tanto terribile quanto necessaria, espressa visivamente per mezzo di una formula matematica, non è mai argomentata. Inoltre le confessioni che danno il titolo all’opera risultano inudibili allo spettatore e sebbene ciò lo aiuti ad adottare il medesimo punto di vista dei personaggi, molte delle decisioni dei ministri sono comunque indecifrabili ai suoi occhi. Indecifrabili come la religione? Può darsi. Difatti l’unica certezza che ci dà il film consiste nell’interpretare le azioni del monaco come guidate da una consapevolezza metafisica. Consapevolezza la cui unica prova tangibile sembra essere un registratore da lui utilizzato per raccogliere i versi degli uccelli. «Una cosa che fa sempre» riferirà durante un interrogatorio. Eppure il film inizia proprio con l’acquisto di quest’oggetto.

Il Roberto Salus di Andò è un uomo arguto, retto e incorruttibile: ciò lo pone sempre un passo avanti ai suoi interlocutori e permette al film di avvalersi di un’ironia che, seppur sporadica, si fa sentire. In ciò ha un peso rilevante la colonna sonora firmata da Nicola Piovani che, avvalendosi anche delle note di Franz Schubert, alleggerisce l’aura misterica della narrazione.

Proprio come il fratello gemello di Viva la Libertà, questo monaco certosino svela una verità basata sull’incertezza; d’altronde è proprio questo il preconcetto su cui si basa una fede: credere per istinto e non per mezzo di prove tangibili.

Print Friendly, PDF & Email
condividi:
   Send article as PDF   

Autore

Dario Ciulla

Lascia un Commento

Continuando ad utilizzare il sito, l'utente accetta l'uso di cookie. Più info

Le impostazioni dei cookie su questo sito sono impostati su "consenti cookies" per offrirti la migliore esperienza possibile di navigazione. Se si continua a utilizzare questo sito web senza cambiare le impostazioni dei cookie o si fa clic su "Accetto" di seguito, allora si acconsente a questo.

Chiudi