Solarpunk | Il futuro è luminoso

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Laputa, Castle in the Sky (Miyazaki, 1986)

Laputa, Castle in the Sky (Miyazaki, 1986)

 

La rivoluzione non comparirà in tv, ma la catastrofe sì. Sui nostri schermi il futuro è sempre più spesso rappresentato come apocalittico: da In Time (Andrew Niccol, 2011), passando per Elysium (Neil Blomkamp, 2013), arrivando all’ultimo capolavoro di George Miller, Mad Max: Fury Road (2015), il pianeta Terra è visto sempre come un territorio completamente colonizzato, sfruttato fino all’esaurimento; mentre le contraddizioni sociali esplodono in tutta la loro violenza – con una classe oppressa ai limiti della schiavitù e l’elite sempre già salvata, altrove, lontana, irraggiungibile – qualcuno trova la forza di ribellarsi. Ma la ribellione spetta sempre al singolo, colui che, secondo uno stantio darwinismo sociale, è in grado fisicamente e intellettualmente di elevarsi dalla propria condizione di miseria, tentando di liberare il mondo, per se stesso e per chi ama. Anche sul piccolo schermo siamo inondati di serie tv di più o meno pregio che rappresentano un mondo distrutto, o dall’apocalisse zombie, o dal disastro ecologico e la conseguente sparizione della civiltà occidentale così come la conosciamo, o dalla sovrabbondanza di mezzi tecnologici che finiscono per renderci sempre più soli e interiormente aridi.

Il pianeta Terra sembra non poter essere salvato dal suo destino già segnato, condotto nel vortice del collasso totale dall’avidità dell’uomo, dal sistema economico che ne sostiene la insensata yubris. La verità è che la catastrofe è già qui, basta ascoltare le grida degli scienziati o semplicemente passeggiare per una metropoli per rendersene conto. L’atomizzazione e l’alienazione compiuta devastano le nostre vite con solitudini, violenze e depressioni; sognare non è più solo un atto ingenuo: è irresponsabile, vergognoso.

Il genere sci-fi solarpunk nasce come movimento letterario dal basso in risposta a questo orizzonte grigio e mancante di senso, correndo sul filo dell’hashtag, su piattaforme libere come tumblr.com, deviantart.com, twitter.com e pinterest.com. Ma non siamo di fronte solo a un nuovo genere letterario, ma a un vero e proprio terremoto dell’immaginario – come attesta l’abbozzo di un manifesto su Project Hieroglyph, sostenuto dall’Arizona State University’s Center for Science – in grado di assorbire, attraverso raccolta di immagini, progetti architettonici, opere d’arte, progetti scientifici, e molto altro, e rimodellare ciò che ci circonda.

Il solarpunk è, in un certo senso, la riproposizione aggiornata di una tendenza utopica che sembrava ormai svanita. E’ la celebrazione di un’umanità in grado di superare i problemi di questa fase storica, di cooperare per costruire comunità in grado di assicurare un futuro migliore, desiderose di non distruggere il pianeta. Il recupero degli stilemi dell’Art Nouveau è conseguente al rigetto dell’immagine estetica della tecnologia firmata Apple: allo schermo ultrapiatto, liscio e sterile, preferisce la radice rizoma che scende nel centro della terra e il ramo nodoso che si protende verso gli abissi siderali. Non conta essere insignito della carica sociale di “artista”, conta essere in grado di vedere in ciò che è intorno a noi la possibilità di creare qualcosa di nuovo, quasi giocando: in questo senso l’estetica solar è anche punk, perché esalta il fai da te e invita alla ribellione, raccogliendo e rilanciando le lotte dal basso degli ultimi anni: dalla lotta ecologica è esaltata la permacultura e la distruzione della dicotomia tra campagna e città; dal rifiuto del lavoro è invocata la valorizzazione della scienza e dell’automazione; dalla lotta all’alienazione nasce l’invito a creare comunità solidali in grado, attraverso una nuova idea di architettura, di scacciare la mancanza imposta come struttura sociale dall’attuale ideologia della competizione che corre lungo le lingue di asfalto delle nostre città. Natura e Cultura non sono più i termini opposti di una falsa dicotomia, si riconciliano nella Storia a venire.

Scriveva Fredric Jameson nel 2003: “Qualcuno una volta ha detto che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Il Solarpunk rigetta tutto questo; è un invito a guardare il mondo con occhi pieni di luce, a immaginare un futuro migliore e a iniziare a lottare per esso: perché immaginarlo ci avvicina a renderlo possibile.

Alcuni link:

 http://solarpunknetwork.tumblr.com 
http://www.solarpunkpress.com
http://solarpunks.tumblr.com
https://www.pinterest.com/muffintvb/solarpunk/
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Autore

Giulia Belloni

« Art et politique tiennent l'un à l'autre comme formes de dissensus, opérations de reconfiguration de l'éxperience commune du sensible» Jacques Rancière, Le spectatuer émancipé (2008).

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