TDV 7-W.I.P.: Leviedelfool, Requiem For Pinocchio

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Articolo di: Lucrezia Ercolani

Foto di: Sara Caroselli

 

Requiem for Pinocchio, della compagnia Leviedelfool, è stato rappresentato il 27 Aprile 2013 al Teatro Palladium nell’ambito del festival Teatri di Vetro. Vengono ripercorse le vicende del celebre burattino, ma con un unico tema di fondo: l’esistenza (umana) in una società dove siamo depredati sistematicamente del tempo, della gioia, della spontaneità.

 

di e con: Simone Perinelli

con un estratto di: “Emporium, poemetto di civile indignazione” di Marco Onofrio

aiuto regia e consulenza artistica: Isabella Rotolo

progetto fotografico: Guido Mencari

regia: Simone Perinelli

@ Teatro Palladium, Piazza Bartolomeo Romano 8, Roma

27 Aprile 2013

Pinocchio è davanti alla corte. Deve essere giudicato per tutte le sue colpe. Ma è lui ad avere una richiesta per il giudice: tornare un burattino. Perché beh, ecco, da umani non è che si stia così bene. Nessuno aveva detto a Pinocchio che una volta cresciuto avrebbe avuto quattro giorni al mese per vivere la vita. «Piuttosto il paese dei balocchi, ma non quello delle lotterie!».

Inizia così Requiem for Pinocchio. Simone Perinelli celebra la morte del burattino (o della spontaneità irresponsabile in ognuno di noi) mettendo in campo un’amara ironia e un’attività mimica senza sosta: solo in scena, è un attore instancabile.

Pinocchio ci racconta di sé, la sua storia si intreccia a brevi e taglienti battute che ci fanno sentire tutta la pochezza di un’esistenza già programmata servendosi di spot pubblicitari, luoghi comuni, film e canzoni commerciali che sembrano rinchiudere in sé tutto l’immaginario collettivo. La fatina viene dipinta come l’archetipo della figura femminile oppressiva nella vita dell’uomo che vi si sottomette, da mamma a moglie – «tanto per te non cambierà niente, perché farai sempre come ti dico io» – . Il fatidico sì è uno smile su facebook.

Il burattino, che piuttosto che andare a scuola preferiva rincorrere le farfalle o rubare lecca lecca, scappa e va nel paese dei balocchi, dove nessuno lavora e tutti sono allegri. Pinocchio ci parla della sua esperienza nel teatro, il cui scopo è metterne a nudo la canonicità, la stringente regolamentazione e in ultimo la scontatezza – «Amleto morto. Tutti morti. Una tragedia» – .

Ora che il burattino è diventato umano, l’immortale grillo parlante (che Pinocchio cerca inutilmente di eliminare) consiglia di mettere su famiglia, lavorare, prendere una casa in affitto – «controindicazioni: tenere lontano dalla portata del lavoratore precario» -. Pinocchio ha la gran fortuna di trovare posto in una compagnia assicurativa, ma non è felice. Riesce ad ottenere un colloquio con il capo, il quale riesce a fatica a comprendere che il suo dipendente non voglia tre dindi in più ma semplicemente il tempo della sua vita. Accusato di sputare nel piatto in cui mangia, Pinocchio risponde: «e che dovrei sputare in quello degli altri?».

Difficile rendere la vivacità dello spettacolo, una successione senza respiro che non può non far interrogare lo spettatore su cosa significhi essere umani (a meno di non accettare che il senso della vita consista in un breve codice di numeri e lettere, come rivela Geppetto nella pancia della balena). D’altronde Pinocchio all’inizio ci aveva detto che, a prescindere dalla sentenza, questo nostro vivere si chiama sopravvivenza. Requiem for Pinocchio ci consiglia di sciogliere il nodo della cravatta e tornare a rincorrere le farfalle.

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Redazione

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